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mercoledì 6 agosto 2025

I contenitori del vino: dialogo tra materia, tempo e intenzione

Michela Aru


L’articolo di Massimo Zanichelli per Vinetia Magazine 02/2024 - lettura o rilettura consigliatissima - parte da un’interessante riflessione sul concetto di forma per sviluppare il tema del rapporto tra contenuto e contenitore nel vino. Vogliamo qui riprendere quella considerazione iniziale e approfondire come, nella forma del vino, avvenga un dialogo tra materia, tempo e intenzione. 

Con il termine “forma” possiamo indicare sia un’aspetto esteriore, una struttura visibile, sia una particolare declinazione dell’essenza, un modo di esistere. Se è vero che il vino è liquido e, perciò, privo di una forma propria nel primo senso, è altrettanto vero che i recipienti in cui nasce, evolve e riposa lasciano su di esso un’impronta sensibile, a volte profonda: non si limitano a racchiuderlo, ma vi interagiscono e gli danno forma; questa volta nella seconda accezione.

In questa prospettiva, il contenitore non è un attore neutro e non opera da solo. È una variabile interpretativa che può essere enfatizzata, minimizzata, oppure calibrata con precisione sartoriale, in base al progetto enologico e collaborando col tempo.
 

La vinificazione tra neutralità e partecipazione

Nelle prime fasi di vita di un vino - macerazione e fermentazione - la scelta del recipiente è determinante. Non solo per ragioni tecniche come la gestione delle temperature o dei rimontaggi, ma anche per il tipo di rapporto che si intende instaurare tra il vino e il suo ambiente.

  • Acciaio inox: materiale prediletto per chi ricerca precisione, controllo e neutralità. È impermeabile all’ossigeno, facile da pulire, privo di cessioni aromatiche. Offre un supporto ideale per esprimere il frutto senza interferenze, ma può risultare “insipido” laddove si cerchi una certa tridimensionalità.

  • Legno: il più ambivalente. Piccolo o grande, nuovo o esausto, tostato o neutro, il legno può tanto valorizzare quanto appesantire un vino. La sua porosità favorisce l’ossigenazione, mentre le sue cessioni aromatiche e tanniche devono essere dosate con attenzione. L’equilibrio tra struttura e delicatezza non è scontato, soprattutto nei bianchi e nei rossi meno estrattivi.

  • Terracotta, cocciopesto, cemento: materiali porosi ma non invadenti, che permettono un ossigenazione lenta, senza apporti aromatici. Ideali per chi cerca una vinificazione “attiva ma discreta”, capace di accompagnare il vino senza imporre una firma riconoscibile. Le anfore, in particolare, sembrano suggerire un ritorno a un’idea originaria di vino, non filtrata da estetiche moderne.

  • Ceramica tecnica: offre proprietà simili alla terracotta, con maggiore inerzia termica e una struttura più omogenea. È apprezzata per la sua capacità di tenere il vino in sospensione, favorendo un profilo più levigato e continuo, specialmente nei bianchi macerati.

  • Cemento vetrificato e contenitori ovoidali: una riscoperta recente, anche grazie alla loro versatilità. Il cemento, se ben trattato, può essere sorprendentemente neutro sul piano aromatico e molto stabile su quello termico. L’ossigenazione è minima ma costante: una micro-evoluzione quotidiana.

 

Contenere e condurre: l’affinamento

Il contenitore dell’affinamento ha un compito diverso da quello della vinificazione. Qui il vino ha già una sua forma primaria, un’identità in nuce, che il recipiente può affinare, arricchire o domare.

È il caso delle botti grandi in rovere di Slavonia, oggi tornate centrali in molte zone italiane proprio per la loro capacità di offrire un apporto gentile e non invasivo. Anche le barrique hanno ritrovato un equilibrio, soprattutto quando usate non nuove o con tostature leggere o medie. Dopo gli eccessi di alcuni decenni fa, la sensibilità attuale si orienta verso una maggiore misura.

In certi casi, l’affinamento prende direzioni più estreme e diventa un processo identitario: pensiamo ai vini ossidativi come Vin Jaune, Sherry, Malvasia di Bosa, oppure ai vini passiti come il Vin Santo. Qui, il contenitore e ciò che avviene al suo interno sono parte integrante della definizione stilistica del prodotto.
 

La forma funzionale e non formante di bottiglia e bicchiere

La bottiglia rappresenta per lo più uno strumento di stabilizzazione e affinamento che di trasformazione attiva del vino. Non è il vetro in sé a cambiare la personalità del contenuto, ma il tempo e l’ambiente in cui la bottiglia riposa. La bottiglia può accompagnare un'evoluzione positiva, ma difficilmente la determina direttamente.

Certo, esistono differenze tra vari formati e diverse silhouette, ma queste differenze sono prevalentemente codificate per convenzione o funzionalità meccanica, più che per un reale impatto sensoriale. Allo stesso modo, il metodo classico sfrutta la bottiglia come sede di una rifermentazione e non come oggetto espressivo in sé.

Anche il bicchiere, spesso protagonista di accese discussioni, non modifica la forma del vino. Influisce però sulla nostra percezione di esso, il che, specie per chi lavora nel vino, non è affatto secondario.

Le diverse forme del calice possono amplificare o ridurre le componenti aromatiche, guidare il sorso verso precise zone della bocca, modulare la temperatura di servizio. Si tratta però di effetti ottici e gustolfattivi dinamici, non strutturali. Come ricordava Georg Riedel, “un bicchiere sbagliato può sottrarre molto all’esperienza”: non cambia il contenuto, però orienta come e cosa percepiamo. 

 

Chiusure a confronto

Un ultimo elemento, spesso trascurato nel discorso sui contenitori, è il sistema di chiusura. Il tappo ha un ruolo determinante nell’evoluzione del vino in bottiglia, soprattutto nel lungo periodo.

Il tappo a vite, oggi rivalutato anche in ambito qualitativo, offre vantaggi evidenti: tenuta ermetica, assenza di contaminazioni, controllo dell’ossigeno, praticità. Studi come quello condotto dalla Fondazione Mach hanno mostrato differenze significative nella conservazione di aromi e struttura rispetto al sughero naturale, specie nei bianchi e nei rossi a medio affinamento.

Questo non significa che il sughero sia da abbandonare: il suo comportamento elastico e micro-ossidante resta prezioso per molte tipologie. È però arrivato il momento di valutare le chiusure in base alla funzione, non alla tradizione.

 

Materia, tempo e intenzione

Un contenitore partecipa sempre al processo enologico e al piano che lo sottende. Che si tratti di acciaio, cemento, terracotta, legno o vetro, ogni materiale interagisce - o meno - con il vino secondo le proprie caratteristiche fisiche e chimiche: inerzia termica, permeabilità all’ossigeno, capacità di cessione o di isolamento. A ciò dobbiamo aggiungere il ruolo del tempo, che ne determina la profondità d’azione, e soprattutto quello dell’intenzione progettuale, che seleziona e coordina questi elementi per orientare il profilo stilistico del vino. In questo senso, materia, tempo e intenzione operano come fattori interdipendenti di uno stesso sistema. Il contenitore diventa così una variabile attiva del processo, non un semplice supporto. Il vino è il risultato di questo equilibrio dinamico.

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