Michela Aru
Molti di noi frequentano abitualmente ristoranti ed enoteche. Chi lo fa per lavoro, in particolare, trascorre molto tempo tra tavoli, scaffali e convinzioni dei clienti. Ebbene: quante volte ci è capitato di sentire affermazioni sul vino perentorie, quasi dogmatiche e, anche per questo, vagamente sospette? Queste frasi, spesso tramandate senza essere mai messe davvero in discussione, viziano le scelte dei clienti e diventano una sfida professionale per chi deve farci i conti.
Eppure, basta poco - in certi casi anche solo le lezioni del corso AIS di Primo Livello - per rendersi conto che queste “verità” sono veri e propri luoghi comuni. Con le giuste conoscenze, non solo possiamo sfatarli, ma anche trasformarli in opportunità per elevare la nostra professionalità. Ecco cinque di questi cliché e in che modo, con le giuste competenze, possiamo gestirli a nostro vantaggio.
Il cliente medio non è un esperto di vino e non capisce: non serve fornirgli informazioni e approfondimenti, basta essere in grado di portarlo alla scelta che noi vogliamo. Questo approccio, oltre a essere riduttivo, è sempre meno efficace. Il cliente di oggi è più informato e curioso. Cerca un professionista che lo accompagni nella scelta, non qualcuno che lo persuada.
La chiave è raccontare il vino con precisione e chiarezza, evitando tecnicismi inutili e trasmettendo passione. È fondamentale adattare la comunicazione alla persona: c'è chi apprezza un consiglio essenziale, magari arricchito da un aneddoto, e chi desidera maggiori dettagli tecnici. Questa capacità di calibrare il linguaggio, affinata con la formazione, fa la differenza.
Spiegare con concretezza perché un Vermentino è l'abbinamento ideale per un piatto o cosa distingue un Metodo Classico da un Martinotti non è ostentazione, ma un servizio che genera fiducia e fidelizzazione.
Questa è una delle convinzioni più radicate. Un fondo di verità c’è: produrre vino ha dei costi legati a zona di produzione, rese, selezione delle uve, tecniche di cantina, affinamento, tempo, manodopera in generale. Sotto una certa soglia di prezzo, è lecito - e professionale - chiedersi quale fase del processo produttivo sia stata condotta “al risparmio” e con quali conseguenze sulla qualità finale.
Detto questo, però, il prezzo non è garanzia automatica di qualità. Può essere ad esempio legato a costi di marketing, canali distributivi, politiche di ricarico o packaging. Comprendere e saper spiegare i fattori che influenzano il prezzo, contestualizzandoli, è cruciale. Si possono trovare vini eccellenti sia da brand prestigiosi e costosi che da piccoli produttori fuori dai riflettori e più accessibili.
Per chi lavora in ristoranti ed enoteche è inoltre essenziale considerare che è la qualità percepita a dare senso al prezzo. Il cliente non valuta solo la qualità tecnica, ma anche la chiarezza della spiegazione, la coerenza con la proposta gastronomica e l'esperienza complessiva. Consigliare una bottiglia da 15 euro che, nel contesto giusto, offre più soddisfazione di una da 40, dimostra pragmaticità, competenza e onestà, avvantaggiando sia il cliente che il venditore.
Si tratta di uno schema classico che, seppur spesso funzionale, all’atto pratico risulta limitante. Generalizzare è rischioso: non tiene conto delle effettive percezioni riscontrate in ogni specifico assaggio e, in ultima analisi, può precludere esperienze gustative inaspettate e innovative.
Pensiamo ad esempio a piatti di pesce che hanno una notevole struttura e personalità aromatica, come una tagliata di tonno rosso in crosta di pistacchi, un’anguilla in umido o una zuppa di scorfano: proporre un vino rosso potrebbe sorprendere e funzionare molto meglio di un bianco leggero. Al contrario, una guancetta di manzo cotta sottovuoto a bassa temperatura, morbida e delicata, può sposarsi magnificamente con un bianco strutturato, magari con un passaggio in legno.
La piacevolezza dell’abbinamento dipende dalla valutazione qualitativa e quantitativa delle sensazioni date dal vino e dal cibo, associate per concordanza o contrapposizione. Imparare a ragionare in concreto, partendo dalle caratteristiche specifiche di un piatto e procedendo poi nella scelta del vino (o anche viceversa, se è il vino a guidare l’ispirazione), trasforma la proposta da formula predefinita a scelta ragionata e creativa, aggiungendo valore al servizio.
Capita che un cliente scelga un vino mai provato prima e, trovandolo “strano”, lo ritenga non buono e ne chieda la sostituzione. Che il vino presenti difetti o alterazioni è possibile, ma se non fosse questo il caso? Se le sensazioni non gradite fossero in realtà caratteristiche tipiche di quel particolare vino? Il rischio è assecondare la richiesta senza approfondire o, peggio, insistere senza avere argomenti validi.
Riconoscere i difetti del vino è importante, ma lo è altrettanto distinguere un vino "fuori stile" da uno "fuori posto". Gli orange wine, ad esempio, possono disorientare chi li assaggia per la prima volta e non ha familiarità con i loro tratti distintivi. Questi vini, tecnicamente bianchi, ma prodotti con lunghe macerazioni sulle bucce, hanno infatti colori, profumi, struttura e tannini inconsueti rispetto a quelli convenzionali e maggiormente conosciuti.
Se però spieghiamo con precisione e in modo accessibile il perché di quelle sensazioni atipiche, possiamo trasformare un rifiuto in una scoperta. Di nuovo, non si tratta di convincere il cliente a forza, ma di accompagnarlo con competenza e rispetto, fornendogli gli strumenti per capire. Anche se il gusto personale dovesse restare critico, la qualità percepita potrà aumentare semplicemente perché il vino è stato compreso.
L'immagine romantica del sommelier che riconosce un vino solo avvicinando il calice al naso è affascinante, ma piuttosto lontana dalla realtà. Prima di tutto, il naso può essere educato: non servono superpoteri innati, bensì molta pratica e concentrazione sugli elementi da riconoscere e ricondurre sistematicamente a specifiche categorie, anche attraverso l’assaggio guidato e il confronto con altri professionisti.
Sappiamo poi che l'olfatto è solo una parte di un insieme ben più complesso di competenze: vista, gusto e tatto sono altrettanto essenziali nell’analisi di ciò che troviamo nel bicchiere.
Non trascuriamo inoltre che chiunque lavori col vino deve possedere una solida base culturale: avere nozione di vitigni, territori e metodi di vinificazione, ma anche padroneggiare servizio, gestione della cantina e comunicazione. Riconoscere un aroma è utile, ma saperlo spiegare efficacemente, collegandolo al suolo o alla vinificazione, è ciò che identifica un vero professionista.
Sfatare i luoghi comuni non è solo un esercizio di precisione: è un modo per elevare la qualità del servizio, costruire fiducia e valorizzare il proprio ruolo. Il mondo del vino è ricco di sfumature e storie da raccontare, ma anche di criteri, strumenti e competenze da allenare.
In ristorante come in enoteca, ogni vino proposto è un’occasione per comunicare con consapevolezza, guidare una scelta con intelligenza e convertire un pregiudizio in una scoperta. Quel sapere in più, appreso con metodo e rigore, trasforma una semplice vendita in un’esperienza da rivivere. Non è un dettaglio aggiuntivo: è il cuore del mestiere.
La conoscenza, insomma, non solo ha già in sé il proprio valore, ma è un vantaggio concreto nel lavoro di ogni giorno. Oggi, chi opera nella ristorazione o nella vendita del vino non può accontentarsi del “si dice” del luogo comune: deve saper trasmettere, con chiarezza e sicurezza, ciò che vale davvero la pena sapere.