Dalla redazione
mercoledì 11 settembre 2024

Ghedo il Sommelier

Dalla spaccata sulla Streif al tastevin. Kristian Ghedina, uno scavezzacollo dal cuore d’oro

Morello Pecchioli


A 53 anni ha ancora muscoli d’acciaio temperato, parecchie ossa rattoppate, l’entusiasmo e l’esuberanza di un ragazzino, un cuore d’oro a 24 carati. Intervistare Kristian Ghedina è uno spasso: simpatia contagiosa, spontaneità, immediatezza e battute che piroettano come fuochi d’artificio. Se improvvisasse qui, senza neve, senza pista e senza sci ai piedi, la celeberrima spaccata volante diventata il suo marchio di fabbrica dopo Kitzbühel 2004, non ce ne meraviglieremmo. Allora era sulla Streif, la pista di discesa libera più ardita e più ambita dai campioni del circo bianco, e il Ghedo veniva giù a razzo. Aveva il miglior tempo in gara quando sul salto prima del traguardo allargò le gambe in aria come volesse spiccare il volo. La folle spaccata gli fece perdere centesimi di secondo e forse la vittoria, sicuramente il podio. Ma con quella guasconata entrò nel cuore di tutti. La gente ama i matti geniali, perché rappresentano quello che ognuno vorrebbe fare: gettare la maschera ed essere se stessi. Ghedina lo era, lo è sempre stato: quella spaccata alla Roberto Bolle fu dettata da una sfida. “L’avevo fatta in altre occasioni. Mio cugino Francesco mi prese in giro: vediamo se hai il coraggio di farla anche qui a Kitzbühel. Non potevo dargliela vinta. Così all’ultimo salto la feci, davanti al traguardo, davanti a tutti. Non credo di aver perso la vittoria per quello scherzo, ma poi, volete mettere la soddisfazione? Gli toccò pagare una birra e una pizza”.

Kristian Ghedina in marzo ha aggiunto un’altra medaglia alla sua storia di uomo e di campione: un tastevin d’oro, che testimonia la sua nomina a Sommelier ad honoremdell’Associazione Italiana Sommelier. Titolo e tastevin gli sono stati consegnati per l’impegno nella promozione della sua terra, la Valle d’Ampezzo, e per la partecipazione al progetto Alba Vitae, l’iniziativa benefica che AIS Veneto porta avanti da anni per aiutare le persone affette da malattie rare. Non abbiamo forse detto che l’uomo ha un cuore d’oro?

Ma le medaglie più importanti della sua vita si chiamano Natan e Bryan, due anni e mezzo il primo, nemmeno un mese il secondo. Sono i figli che Ghedina ha avuto da Patrizia Auer, la compagna, anch’essa campionessa di sci e per diversi anni nella nazionale azzurra. Eccolo qui il mitico Kristian, Ghedo, lo scavezzacollo che non rifiutava alcuna sfida, a coccolarsi i figli, a incantarsi davanti a Natan e a Bryan. Il Capitan Fracassa delle nevi ha messo giudizio a 53 anni: non c’è podio, né medaglia, né Streif che tenga in confronto ai due piccoli. “Natan e Bryan sono il mio mondo, il mio passato, presente e futuro”, dice orgoglioso e tenero come il più tenero dei papà. “Non pensavo che un giorno sarei rincoglionito così tanto. Bryan pesa tre chili e mezzo. È uno scricciolo. Uno scoiattolino di Cortina”.

 

Bryan è nato il 28 marzo, giorno del centenario dell’aeronautica. L’auspicio è buono. Volerà come il padre?

(Ride) Volevo chiamarlo Brayan con la “a” e con la “y”, ma ho pensato che avrebbe generato confusione.

Voi Ghedina andate proprio a cercarvela con i nomi: Kristian con la K, Natan come il profeta ma senza l’acca dopo la “t”, e adesso Bryan?

Natan e Bryan sono nomi che mi piacciono molto. In quanto alla mia K, ci tengo assai. Mi incazzavo come una bestia quando i giornalisti mi storpiavano il nome scrivendo Christian con il “Ch”. Quando nacqui papà litigò con gli impiegati dell’anagrafe in municipio: non volevano saperne di scrivere Kristian. Alla fine la spuntò. Ci tengo molto alla mia kappa. Pure mia sorella Katia, ha la sua K.

 

Anche quest’anno, in gennaio, sciando come apripista della discesa femminile e del super G maschile, ha firmato i tracciati con la spaccata. Il commentatore televisivo l’ha definita “un bambino di 53 anni”. S’è offeso?

No. Se bambino è uno che si diverte, allora sì, lo sono perché mi diverto ancora tanto a sciare. Come quand’ero giovanissimo. La spaccata è nata così, per divertimento. I ragazzini devono divertirsi. Lo sport è fondamentale per la crescita dell’individuo. Lo sport dev’essere un gioco, ma dentro le regole, il rispetto per gli altri e per se stessi. Lo scherzo ci sta. Quando inizi a sciare lo sport è solo un divertimento, poi se sei bravo diventa una professione. Devi lavorare, fare sacrifici, rinunciare a tante cose. Mi piaceva l’agonismo. Ho avuto la fortuna di fare il lavoro più bello. Se questo è essere un bambino, allora sì, sono un bambino e ne vado fiero.

 

Alla faccia del divertimento. Il suo bollettino medico parla di parecchie fratture alle costole, di un menisco saltato, di vertebre rotte e mai del tutto rinsaldate, di tre fratture al naso, di un orecchio, il destro, mutilato. C’è altro da aggiungere?

Una commozione cerebrale, una frattura alla scatola cranica, un coma farmacologico di tre giorni per un incidente stradale. Il fatto è che ho sempre amato il rischio, andare in cerca del pericolo, di cose estreme, anche a rischio della vita. Ho fatto disperare mio padre: a 16 anni ero in Nazionale. Papà sapeva che ero scapestrato. Temeva per me. Aveva perso mia madre Adriana mentre sciava davanti a lui in un fuoripista: le si incrociarono gli sci e precipitò per 600 metri. Non avrebbe voluto che rischiassi la vita, voleva che andassi a scuola: quella sì, per lui, offriva una garanzia di successo. Tenni duro per dimostrargli che non aveva ragione. E gliel’ho dimostrato. Con i fatti.

 

Quando finì la carriera di discesista, cambiò genere di piste: scelse quelle d’asfalto sedendo al volante in Formula 3000, nelle gare di Superturismo e nel mondiale Porsche Supercup. Ma le parole “tirarsi indietro” e “paura”non le dicono niente?

 

No. È il mio carattere, mi piace la velocità, il rischio e non ho paura. È un mio modo di andare controtendenza, di andare contro la mentalità comune. Ho impiegato tanto tempo, ma lavorando sodo ce l’ho fatta. Dicono che sono un pazzo. Non è sbagliato avere paura, ma ho una dimensione diversa. Due volte mi sono rotto di brutto. Quando sono finito in coma, ricucita la testa sono tornato a casa e volevo riprendere ad allenarmi senza il nulla osta medico. Ma il mondo mi è crollato addosso quando sono salito su una bici e sono caduto subito per terra. Mi sentivo impotente come un bambino. Ma poi il computer del mio cervello si è riprogrammato e dopo tre anni e mezzo ero di nuovo sul podio. La seconda paura di dover lasciare lo sci anzitempo è stata in Argentina. Ero in stato di grazia, nessun compagno mi batteva. Ero in stato di forma bestiale. Al terz’ultimo giorno dalla gara finale siamo andati in uno Snowpark: uno, due, tre salti poi ho voluto fare un salto mortale. Quando sono atterrato ho sentito due crac. Sono un cretino, mi sono detto, resterò sulla sedia a rotella. Ho perso l’inizio della stagione, ma sono tornato in gara. È stato come nascere per la seconda volta.

 

La vittoria più bella?

A Cortina nel 1990, a casa mia. Avevo due costole rotte, ma il medico non osò fermarmi. Vinsi. Mi portarono in trionfo su una Porsche cabrio.

 

Parliamo di vini. Sommelier ad honorem, mica male per un montanaro. È un bevitore giudizioso? Se ne intende?

Sono molto legato al mio territorio. Ho le radici ben piantate in questa mia terra. Ringrazio l’AIS per il titolo che incarna il valore del vino. In più il titolo è legato ad Alba Vitae, un progetto di grande solidarietà e io sono molto sensibile e disponibile al sociale. Non sono un grande bevitore, ma a tavola un buon bicchiere di vino me lo concedo sempre volentieri. Bevo più volentieri i rossi non troppo corposi, non affinati in legno. Mi piace bere giovane. I bianchi? Mi danno un po’ alla testa. Se c’è una buona cena, magari con una bella bistecca, abbino un bel vino rosso veneto o, magari, un Blauburgunder di Bressanone, e lo bevo volentieri. Patrizia, la mia compagna, è di Bressanone. Lì fanno Blauburgunder buonissimi. E vini bianchi di carattere come il Sylvaner, il Kerner, il Gewürztraminer. Ma, diciamo la verità, loro sono più forti con le mele, noi veneti con i vini.

 

Ha sentito gli irlandesi? Vogliono far mettere sulle bottiglie di vino la scritta: “Nuoce alla salute”.

Fa male se ne bevi troppo. Anche la Coca Cola fa male se ne bevi un litro, anche il pesce fa male se ne mangi tanto. Il vino buono non fa male. Anzi, il rosso contiene rasveratrolo che fa bene.

 

Da 1 a 10 quanto le piace essere Sommelier ad honorem? 

Undici se non ci fossero gli amici che mi prendono per il culo. Tutta invidia.

 

Questa sera cosa mette in tavola?

Un amico di Ravenna mi ha donato un chilo di squaquerone, prosciutto crudo e piadina. L’abbinamento? Che domande, Lambrusco.

 

Articolo originariamente apparso sul numero 01/23 di Vinetia Magazine.

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