di Luciano Ferraro
Nell’autunno del 2014, all’ingresso della sala Buzzati del Corriere della Sera, si presentò una coppia bizzarra: uno aveva gli occhiali da intellettuale, indossava una giacca scura, parlava mescolando citazioni colte e pop, sembrava più incline a partecipare a un dibattitto filosofico invece che alla premiazione della guida ai “100 migliori vignaioli e vini d’Italia” che stava per andare in scena quel pomeriggio. Al suo fianco un uomo alto e massiccio, con una salopette anni 70 e basettoni ottocenteschi: a piedi nudi. Erano Walter Massa e il suo scudiero-cantiniere Pigi, lo scalzo. Durante il brindisi finale, la coppia più eclettica del vino italiano venne circondata da appassionati e curiosi che avevano due domande: perché Pigi non usa le scarpe? Com’è rinato il Timorasso?
Mentre Pigi si limitava a rispondere che “camminare senza scarpe è una questione di comfort”, Walter Massa spiegava la sua avventura con il Timorasso: “Sono vignaiolo da 4 generazioni, i miei genitori vendevano vino sfuso. Mio padre mi voleva in ufficio. Ho preferito mangiare fango e polvere, credendo nella immensità del vitigno barbera. Non è andata bene. Dopo 7-8 anni ho puntato sul Timorasso, poche bottiglie. Quando sono arrivato a 5.000, altri hanno condiviso la scelta”.
Sono trascorsi otto anni da quella entrata in scena spettacolare. E Walter, con il suo Timorasso, è diventato un punto di riferimento. Non solo per i Colli Tortonesi, ma per tutti quelli che in Italia vogliono mettere passione, anima e sudore per recuperare un vitigno autoctono. Ha impiegato 30 anni di lavoro. Il timorasso è passato da un vitigno da salvare a un vitigno su cui investire, i grandi del Barolo come Vietti e Pio Cesare (e altri, molti altri ancora) hanno acquistato terreni, spesso grazie ai consigli di Walter.
Il mio infinito
Sono due le parole chiave dell’azione di Massa: equilibrio e follia. E c’è una canzone, Sally di Vasco Rossi, cha dà loro un senso, e infatti la cita spesso: “Perché la vita è un brivido che vola via / È tutto un equilibrio sopra la follia / Sopra la follia”. Quando gli si chiede chi sia il suo enologo, risponde “Vasco Rossi”. Non ama gli enologi-star, convinto che che il vino “non è un telefonino o un motore diesel, progettati da un ingegnere. Il vino è stato progettato dalla natura per far star bene l’uomo da quattromila anni, nei momenti di gioia e di tristezza”. Ma è amico di Donato Lanati, e si interessa ai suoi studi scientifici.
Walter Massa di Monleale è stato un motociclista di enduro, campione regionale (lombardo, perché correva con il club di Voghera). Si è diplomato alla scuola enologica di Alba. Aiuta in famiglia a raccogliere le pesche e a vendemmiare. L’azienda è stata fondata nel 1879, quando il Tortonese era un grande bacino per la produzione di uve bianche e rosse. Fino alla prima guerra mondiale partivano ogni anno treni con 20-30 mila ettolitri di vino bianco per la Svizzera. Il timorasso c’era, assieme ad altri vitigni. Poi, con la fillossera, il patrimonio viticolo autoctono è stato duramente colpito e dopo la seconda guerra mondiale i viticoltori della zona dei Colli Tortonesi iniziarono a piantare vitigni rossi, come chiedeva il mercato.
La famiglia voleva Walter dipendente in qualche ufficio o cantina sociale. Ma lui ha preferito restare a coltivare la terra, sicuro che i Colli Tortonesi, mai valorizzati, “potevano diventare il mio infinito”. Nelle vigne di casa, 12 ettari, si faceva barbera per il 95%, e qualche uva bianca che veniva vinificata tutta assieme (ora gli ettari sono 30, 15 di timorasso, gli altri barbera, croatina, moscato e freisa). Ed ecco l’intuizione di Massa: “Alla fine degli anni Ottanta – ha raccontato Walter nelle sue degustazioni in giro per l’Italia – ho provato a vinificare quel poco di timorasso che era rimasto nelle nostre vigne. E ho notato che il vino risultava interessante. E soprattutto migliorava con il tempo”. Ha accorpato i terreni familiari sparsi nel paese, dopo la divisione ereditaria. Il timorasso era un’uva antipatica per chi voleva puntare sulla quantità e non sulla qualità. Nel 1980 aveva investito nella croatina, poi sul cortese, poi ha creduto nel timorasso. “Nel 1986 ho pensato a questo vitigno come una svolta per la mia azienda”.
Il matto che ha aperto la strada
Fino al 1998 gli davano del matto, sostenendo che se il vitigno si era perso un motivo c’era. La prima vendemmia: dieci quintali di uva e 560 bottiglie di Timorasso. Lo mette in vendita, nel 1988, a 7.200 lire, la media di una bottiglia di Gavi. Le analisi dell’Università di Milano gli dimostrano che il timorasso è unico, e ha il 20 per cento di geni in comune con il sauvignon blanc. L’acqua del Tortonese ricca di minerali, nutrendo la vite, rende non replicabile il Derthona, il Timorasso dei Colli Tortonesi. L’inizio non è stato semplice. “Quando andavo a Milano mi prendevano in giro – ricorda Massa – negli anni Novanta tutti parlavano di Cabernet e Chardonnay e io rispondevo col Timorasso”. Poi i tempi sono cambiati. E, anno dopo anno, si è convinto che il Timorasso Derthona “potrà presto competere con i migliori vini bianchi del mondo”.
Dal 2010 sono arrivati altri vignaioli a seguire la sua strada. Massa ha trascinato nella sua crociata a favore del Timorasso personaggi famosi, come Oscar Farinetti, con il qualche ha acquistato un terreno (1 ettaro lui, 3 la famiglia Farinetti). “Mi sono montato la testa perché ho aiutato lo sbarco di imprenditori delle Langhe. Ma fino agli anni 50 c’erano 6.000 ettari di vigna, ora 2.000, c’è spazio per tutti”. Da una dozzina d’anni chiude le bottiglie con il tappo a vite, portando avanti imbottiglimenti paralleli con il sughero. Ricca la gamma dei vini: dal “Costa del Vento” al “Montecitorio”, dal “Derthona” al “Monleale”. La fase attuale la definisce quella dell’”egoista”, perché con il Consorzio ha dato regole restrittive, a partire dall’altitudine dei nuovi vigneti, Da poco è arrivata la quinta generazione, i figli della sorella, i gemelli Edoardo e Filippo Alutto. Il futuro di Vigneti Massa.
Articolo originariamente pubblicato sul numero 2/2022 di Vinetia Magazine.